giovedì 28 agosto 2014

IL NICHILISMO E LA RESA DEI CONTI


                                     


Viviamo in un'epoca che ha visto grandissimi sconvolgimenti, lo sviluppo frenetico della tecnologia e lo stravolgimento delle dinamiche geopolitiche; la compulsione per la crescita economica, prerequisito fondante di una cultura capitalista; la perdita dei solidi, anche se discutibili, punti di riferimento delle religioni istituzionalizzate. Vi è una generale mancanza di fiducia, ci sentiamo traditi e raggirati, che sia da un partito politico o dallo Stato e le sue istituzioni, dalle promesse cristiane di salvezza e le sue persuasioni al pentimento oppure dal sistema finanziario, il tumore invisibile e silenzioso che ha colpito l'Uomo ha ormai le sue metastasi diffuse in ogni spaccato di società, ed in una certa misura dentro ad ogni essere umano. Due secoli orsono, Friedrich Nietzsche, aveva profetizzato l'avvento di quest'epoca e, riutilizzando un termine che può avere diverse sfaccettature di significato, ha proclamato l'avvento di questo momento storico, il tempo del nichilismo.
Nichilismo, dal latino classico nihil o medievale nichil, ovvero "nulla", è la dottrina filosofica che suggerisce la negazione di uno o più aspetti putativamente significativi nella vita, da cui il mondo, l'esistenza umana in particolare, è privo di senso, scopo o valore etico, e la verità è incomprensibile (cit Wikipedia).
Nietzsche lo definisce così: "Manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano".
Per il filosofo tedesco questo fenomeno assume la peculiarietà di chiave interpretativa di tutta la civiltà occidentale, e questo sia in forma teorica che pratica. Lo descrive come segno dei tempi e sintomo di decadenza nonché, oramai, paradigma costitutivo della cultura occidentale. Il genio intriso di follia di Nietzsche però ha visto questo particolare e necessario momento storico come il lungo e penoso travaglio che avrebbe dato alla luce l'Ubermensch, "l'Oltreuomo", e l'avvento di una nuova era, segnando la fine dell'uomo così come si è dato alla storia, e del dio che egli ha creato a sua immagine e somiglianza. Interprete di questa nuova era sarà quindi questa sorta di figura mitica, il superuomo, capace di introiettare e fare propria la ragion d'essere del nichilismo, la transvalutazione, ovvero la costruzione di un nuovo ordinamento con nuovi valori e la distruzione del vecchio e superato zeitgeist , lo spirito del tempo, il sistema di valori vigente.
Vorrei soffermarmi su uno degli argomenti che ho più a cuore, le implicazioni pedagogiche e psicologiche del nichilismo; esse sono culturalmente fondanti, perché vanno ad intaccare la civiltà tutta in ogni suo più piccolo segmento, caratterizzando le sue dinamiche etiche e politiche, economiche e spirituali. L'occidente vive una fase senza precedenti, e si ritrova a fronteggiare un nemico che è insidiato al di quà delle trincee. Si aggira come uno spettro minando le fondamenta stesse della civiltà. L'assenza di senso è dilagante, un nulla che si ripercuote in ogni dove e si riflette negli sguardi opachi e distratti dei giovani che, senza più speranze o prospettive, si anestetizzano di tecnologia e televisione spazzatura, quando va bene, che si cura di loro solo come potenziale fonte indiretta di introito, incurante del messaggio trasmesso e della reale consapevolezza che, al di là di quelle scatole blateranti, vi sono degli individui, tanti giovani, tanti altri giovanissimi, con limitate capacità di discernimento, o addirittura nulle, ed una mente aperta che assorbe incondizionatamente, elastica e malleabile alle esperte mani, venali e ciniche, delle agenzie pubblicitarie e dei grandi marchi. Ci stupiamo scioccati dall'ennesima incomprensibile tragedia, annunciata al telegiornale e discussa, sviscerata, sminuzzata e ricomposta nelle varie trasmissioni pomeridiane e in prima serata sui canali nazionali, dall'ostentato ed istrionico surrogato d'umanità stampato nelle espressioni di attrici di second'ordine, reinventatesi conduttrici di programmi scandalistici. Abbiamo però smesso di stupirci, che quelle stesse trasmissioni e quelle stesse teatrali espressioni dispiaciute, utilizzano, usurpano ed abusano del dolore delle persone al fine di incassare denaro spasmodicamente, infilando tra una pubblicità e l'altra la disperazione di chi ha perso tutto, perché fa audience, perché suvvia, il mercato dovrà pure andare avanti. La televisione ha catapultato nei nostri salotti, nelle nostre vite, realtà lontane di altri continenti, ma spesso, davanti al nostro cuore, quelle trucide immagini non ci coinvolgono intimamente più di quanto possa fare un film, "sono solo immagini, sono lontane, a me non succederà mai". La tecnica si è evoluta ad una velocità esponenziale, ma così non è stato per la coscienza dell'uomo, che non è ancora in grado di saper gestire queste sempre nuove potenzialità e far fronte alle responsabilità che esse comportano.
Lo scopo profondo della tecnologia è l'agevolare la vita di tutti giorni, alleggerirne il carico, migliorarne la qualità, ma il mezzo è diventato fine, e quando ciò accade le implicazioni non possono che essere negative. I valori su cui la civiltà umana si è evoluta, come la famiglia o il clan, il sudore della fronte ed il sacrificio atto al miglioramento delle condizioni d'esistenza, una fede religiosa od una certa identità civile, hanno perso in buona parte qualsiasi connotazione fondante nella formazione dei giovani, o meglio, in loro non attecchiscono più. Il problema, il fenomeno nichilismo, è complesso ed intricato, ha origine nelle radici stesse della nostra attuale idea del mondo e della vita. Una forma d'inquietudine non meglio identificata si aggira negli animi e davanti alla scrivania dello psicoterapeuta non si riconosce in alcuna diagnosi, e quindi gli ansiolitici e gli antidepressivi prodotti e prescritti in quantità da epidemia non possono che alleviare le conseguenze emotive del problema, ma la causa, l'origine, rimane illesa ed indisturbata. Prendendo atto di ciò, e che questo disagio non è del singolo individuo ma è distribuito più o meno equamente in tutta la società, si arriva alla conclusione che non sono tanto la psichiatria o la psicologia le discipline che dovrebbero averne competenza, ma semmai la filosofia. Nella filosofia di vita comunemente adottata dovremo cercare la causa del problema, e tutti gli psicofarmaci di questo mondo, essendo nulla più che palliativi, non fanno che ostacolare l'individuazione e la soluzione del fattore scatenante.
Nietzsche proclama metaforicamente la morte di Dio e del suo influsso sugli uomini, e ciò che è peggio, ciò che vediamo oggigiorno applicato alla perfezione, è che "Se Dio non esiste, tutto è permesso" citando Dostoevskij. Dio è morto, o perlomeno la concezione che l'uomo aveva di Dio, non tanto il decesso di una divinità suprema, quanto la morte di qualcosa dentro all'uomo, e questa assenza lascia un più o meno consapevole vuoto nell'animo delle persone, dei più giovani innanzitutto. Gli adulti, i "detentori della verità", non sono stati ancora in grado di spiegare e trasmettere ai ragazzi il loro valore per la vita, per il lavoro, il sacrificio a lungo termine, o per un disinteressato altruismo. Le parole e le prediche profuse, cariche di immagini evocative ma povere di significato per chi le deve ascoltare, quasi sempre sono andate nella direzione opposta a quella delle azioni dei predicatori come a quella della società. Fin dall'asilo insegnamo ai bambini la condivisione e l'altruismo, ma poi gli facciamo scoprire a loro spese che la nostra società è basata sulla competizione e l'arrivismo, e ci troviamo impreparati e a disagio al momento in cui dobbiamo spiegargli perché quei signori, che dormono su degli scatoloni di cartone, non hanno una casa, cibo o vestiti puliti, e quando, ignorando la loro mano tesa in cerca di qualche spicciolo ed il loro sguardo affamato di essere riconosciuti come esseri umani, passiamo avanti, e ai bambini dagli occhi vispi, curiosi ed interrogativi gli diremo: "te lo spiegherò quando sei grande". Viviamo l'epoca dell'immagine, del potere esteriore, dell'ostentamento dei simboli di un determinato stato sociale e del consumismo frenetico e cieco, a discapito di un pianeta che non può sostenere i nostri capricci e dei nostri nipoti e pronipoti che dovranno fare i conti con la nostra spazzatura. Sei ciò che consumi, sei ciò che possiedi; Heidegger ci ricorda che questo è il tempo in cui l'essere viene dimenticato nella rappresentazione dell'ente, "Dell'essere non ne è più nulla". Non mi ritengo comunista, non ho la soluzione alternativa all'attuale stato delle cose, ma ciò di cui sono convinto è di essere avverso a questo capitalismo imperante. Oltre alla morte di Dio, che a mio avviso implica più un nichilismo etico, sono certo che l'attuale sistema economico consumista sia la causa principale del fenomeno propriamente detto "nichilismo esistenziale". Viviamo in una condizione che azzarderei a paragonare a quella della dipendenza da sostanze stupefacenti, ci si rende conto che sono distruttive, che rendono peggiori e distruggono moralità, affetti o valori di sorta, oltre che la propria salute psico-fisica, ma si persevera recidivi ed incuranti in una situazione prossima al collasso.
Questo delicato momento storico può però aprire la strada ad una nuova consapevolezza, bisogna perderli i valori per poi poterne trovare di più alti. Ci siamo sempre mossi secondo le linee guida indicateci da una religione o da un'ideologia, ma oggi, noi gregge senza pastore, abbiamo la necessità di trovare all'interno di noi stessi, oltre che il senso della vita per il quale patire il sacrificio, anche un nuovo incondizionato e disinteressato senso etico. Non siamo più nella condizione di poter accettare una verità predigerita o preconfezionata, l'umanità è chiamata ad uscire dall'infanzia, e lo stimolo alla vita e alla dignità di essa non può venire dall'esterno. Questa è una grande occasione, bisogna abbattere per poter poi costruire. La morte di Dio ha dato la genesi al nichilismo, ma per sopprimere quest'ultimo, a mio avviso, dobbiamo trovare la divinità che è in noi stessi e negli sguardi del prossimo come in tutto ciò che è manifesto, senza antropomorfizzare il Trascendente in un essere supremo dalle fattezze etniche diverse a seconda della latitudine geografica o dell'identità culturale, ma prender coscienza dell'Unità che non può essere ridotta nei parametri di pregi e difetti concernenti la limitata personalità umana. Dobbiamo cogliere l'essenza, impersonale, totale, viva ed immanente . Non è la religione il terreno adatto a tali speculazioni, ma la ricerca del sapere, l'amore per esso, ma non certo un sapere freddo e mentale, quanto una forma di saggezza intima, che viene da dentro ma che nella sua coerenza è in grado di appagare il pensiero logico. Finché questa trasmutazione non sarà avvenuta, nessun'istituzione o ideologia potrà fornirci di un senso profondo, che è a prescindere della funzionalità del dato momento storico. Mi auspico che questo avvenga il prima possibile, quindi cogliamo quest'opportunità sforzandoci di vedere il nichilismo, si come premessa ad un uomo nuovo, ma spogliato di tutta quella presunzione di onnipotenza tanto cara a Nietzsche. Finisco col citare un suo frammento postumo: "In realtà ogni grande crescita comporta un enorme sbriciolamento e deperimento: il dolore, i sintomi di declino fanno parte di epoche di enorme avanzamento; ogni fruttuoso e potente movimento dell'umanità ha creato contemporaneamente anche un movimento nichilistico. In determinate circostanze sarebbe segno di crescita incisiva ed essenzialissima, di trapasso a nuove condizioni di esistenza, il fatto che venisse al mondo la forma estrema di pessimismo, il vero e proprio nichilismo".

(Appello d'esame parziale di filosofia morale)
                                                           
Bryan




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