lunedì 13 ottobre 2014

NONNA, MADRE, MOGLIE, O SEMPLICEMENTE "LINDA"






Punto d'arrivo o punto di partenza
Tutto il tuo mondo è confinato in una stanza
S'accavallano ricordi, ti riscaldano parole
I tasselli di una vita qui riuniti al capezzale

Ti s'impongono alla mente i frammenti del passato
I profumi delle cene che tu stessa hai cucinato
Il pianto disperato di un figlio appena nato
Il "si" che sull'altare a tuo marito hai consegnato

Dieci paia d'occhi, dieci promesse alla vita
Dieci cuori del tuo cuore a cui ti sei dedicata
Nonostante i freddi inverni, malgrado stomaci esigenti 
Con la tua dignità hai reso nobili i tuoi pianti

Sebbene proclamati eroi, dalle eclatanti gesta
Colman fogli di giornale riunendo masse in festa
Le vere imprese eroiche non varcano mura domestiche
Sono lontane dall'ostentazione le prodezze più fantastiche

E così con discrezione e silente magnanimità
Hai colmato molti cuori della tua pragmatica bontà
Ti sei data senza riserbo, l'umiltà come stendardo
Dei valori e della fede forse tu ultimo baluardo

Negli sguardi attorno a te imperante è gratitudine
Rieccheggiano le lodi, al figlio, al Padre, ad una Vergine
Si stringono commossi gli oggetti del tuo amore
Una gran donna è nata al cielo, ma sempre è miope il dolore


Grazie nonna Linda
Ti ameremo sempre
E porteremo nel mondo i valori che hai saputo trasmetterci.
Questa è la tua grande ed inestimabile eredità




Bryan







martedì 2 settembre 2014

IL SUICIDIO

Le statistiche ci dicono che la maggior parte dei suicidi sono, tendenzialmente, di giovani adulti, in molti casi uomini, dai venti ai trent'anni. Nella stessa fascia d'età riscontriamo la comparsa di malattie mentali annichilenti, come la schizofrenia, e ancora prima disturbi della personalità quali il diffusissimo "borderline", che colpisce nella prima adolescenza. Innumerevoli sono le variabili nella causalità di tali fenomeni, che è praticamente impossibile stabilirne una regola, spesso però i casi in questione hanno in comune lo stress della madre in gravidanza, infanzie difficili, punti di riferimento assenti o ad intermittenza, vuoti affettivi, traumi precoci, violenze fisiche, psicologiche e sessuali.
Nonostante la mole di dati scentifici a disposizione, che però, a differenza della matematica, non possono offrirci delle prove empiriche certe (vi sono storie individuali in cui tutte le variabili menzionate sono presenti, ma ciò non è necessariamente sfociato in un suicidio), continua ad assillarci la solita ed incessante domanda, ogniqualvolta la vita ci ripropone la perdita di una persona cara in questo modo tanto brutale: perché??
Un particolare giorno della nostra storia di vita ci rendiamo conto di esistere, così, dal nulla, e necessariamente arriverà il momento in cui prenderemo consapevolezza che la nostra permanenza su questa terra non è eterna. Non c'è un'apparente risposta, ci viene detto che è così, e ci costruiscono fantasiose e favoleggianti versioni sopra questo mistero, non si sa bene se è per alleviare la nostra inquietudiene di bambini curiosi, o la loro di adulti, confusi almeno quanto noi. La morte di per sé lascia sgomenti, ma il suicidio, beh il suicidio ci lascia interdetti. Oltre alla confusione ed allo strazio sopraggiungono emozioni violente, di incapacità di comprensione, di un egoistico sentimento di offesa della nostra persona, perché nel caso specifico vi è la più o meno lucida scelta. Ci tortura il pensiero che, nel sentiero di qualcuno che in qualche modo sentivamo "appartenerci", è apparso un bivio, un fifty fifty di probabilità, e la decisione presa non ha considerato il NOSTRO dolore, il nostro renderci orfani di una vita per noi inestimabile, ma chi la possedeva, questa vita, non la pensava alla stessa maniera, in quel fatidico istante che, nel deserto che ha lasciato attorno a sé, si è fossilizzato nell'ineluttabilità.
La rabbia che non riesce a direzionarsi verso l'oggetto del nostro amore, di cui ci sentiamo ingiustamente derubati, si ripercuote su noi stessi, e forse a ragione, perché noi, nell'istante in cui quel "nostro" qualcuno sceglieva un faccia a faccia con un treno, od anziché ancorarsi alla vita si è aggrappato ad una corda implorandogli la morte, noi passavamo i nostri banali momenti nella vita d'ogni giorno, a correre appresso a futili e fugaci desideri del momento, quando quei momenti sarebbero stati inestimabili per la vita di qualcun'altro, oltre che per la nostra. Se solo l'avessimo saputo. Se solo avessimo preso in mano quel telefono anziché dire "lo faremo poi".
La mente umana non ha l'oggettiva capacità di comprendere il concetto di "mai più", di "per sempre", di "inesorabile", perlomeno si ostina nel non volerlo accettare.
Il mio percorso di vita, sempre volto alla ricerca di risposte che vanno oltre alla possibilità d'adottare il metodo scientifico galileiano, mi ha portato a raggiungere delle più o meno condivisibili consapevolezze, radicate oramai nel mio intimo, sulla collocazione che abbiamo nel disegno perfetto dell'Universo, che non è a mio avviso conseguenza di una concatenazione fortuita di cause, ma figlio di se stesso, Essere Assoluto, e di un ben preciso piano, con una propria ragion d'essere. Il caso non esiste, e per citare il titolo di un mio lavoro ancora work in progress: "Il caso è premeditata coincidenza", e ciò va infinitamente oltre la nostra capacità di comprensione, ma ciononostante ne rispetto l'ordine e le rigide fattezze.
E così, pur con estrema difficoltà e dolore, devo accettare l'inesorabilità delle scelte altrui, e se, come io penso, l'uno è nel Tutto, ma il Tutto è nell'uno, ogni decisione, per quanto lontana dal nostro più immediato benessere, segue le norme di un ordine superiore che non può non esistere che in favore di un Bene Ultimo, di un Bene Supremo. Addio amici miei, o meglio, arrivederci.

                                           CIAO JACOPO, CIAO VLADIA!!!

                             
                              

                                             


giovedì 28 agosto 2014

IL NICHILISMO E LA RESA DEI CONTI


                                     


Viviamo in un'epoca che ha visto grandissimi sconvolgimenti, lo sviluppo frenetico della tecnologia e lo stravolgimento delle dinamiche geopolitiche; la compulsione per la crescita economica, prerequisito fondante di una cultura capitalista; la perdita dei solidi, anche se discutibili, punti di riferimento delle religioni istituzionalizzate. Vi è una generale mancanza di fiducia, ci sentiamo traditi e raggirati, che sia da un partito politico o dallo Stato e le sue istituzioni, dalle promesse cristiane di salvezza e le sue persuasioni al pentimento oppure dal sistema finanziario, il tumore invisibile e silenzioso che ha colpito l'Uomo ha ormai le sue metastasi diffuse in ogni spaccato di società, ed in una certa misura dentro ad ogni essere umano. Due secoli orsono, Friedrich Nietzsche, aveva profetizzato l'avvento di quest'epoca e, riutilizzando un termine che può avere diverse sfaccettature di significato, ha proclamato l'avvento di questo momento storico, il tempo del nichilismo.
Nichilismo, dal latino classico nihil o medievale nichil, ovvero "nulla", è la dottrina filosofica che suggerisce la negazione di uno o più aspetti putativamente significativi nella vita, da cui il mondo, l'esistenza umana in particolare, è privo di senso, scopo o valore etico, e la verità è incomprensibile (cit Wikipedia).
Nietzsche lo definisce così: "Manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano".
Per il filosofo tedesco questo fenomeno assume la peculiarietà di chiave interpretativa di tutta la civiltà occidentale, e questo sia in forma teorica che pratica. Lo descrive come segno dei tempi e sintomo di decadenza nonché, oramai, paradigma costitutivo della cultura occidentale. Il genio intriso di follia di Nietzsche però ha visto questo particolare e necessario momento storico come il lungo e penoso travaglio che avrebbe dato alla luce l'Ubermensch, "l'Oltreuomo", e l'avvento di una nuova era, segnando la fine dell'uomo così come si è dato alla storia, e del dio che egli ha creato a sua immagine e somiglianza. Interprete di questa nuova era sarà quindi questa sorta di figura mitica, il superuomo, capace di introiettare e fare propria la ragion d'essere del nichilismo, la transvalutazione, ovvero la costruzione di un nuovo ordinamento con nuovi valori e la distruzione del vecchio e superato zeitgeist , lo spirito del tempo, il sistema di valori vigente.
Vorrei soffermarmi su uno degli argomenti che ho più a cuore, le implicazioni pedagogiche e psicologiche del nichilismo; esse sono culturalmente fondanti, perché vanno ad intaccare la civiltà tutta in ogni suo più piccolo segmento, caratterizzando le sue dinamiche etiche e politiche, economiche e spirituali. L'occidente vive una fase senza precedenti, e si ritrova a fronteggiare un nemico che è insidiato al di quà delle trincee. Si aggira come uno spettro minando le fondamenta stesse della civiltà. L'assenza di senso è dilagante, un nulla che si ripercuote in ogni dove e si riflette negli sguardi opachi e distratti dei giovani che, senza più speranze o prospettive, si anestetizzano di tecnologia e televisione spazzatura, quando va bene, che si cura di loro solo come potenziale fonte indiretta di introito, incurante del messaggio trasmesso e della reale consapevolezza che, al di là di quelle scatole blateranti, vi sono degli individui, tanti giovani, tanti altri giovanissimi, con limitate capacità di discernimento, o addirittura nulle, ed una mente aperta che assorbe incondizionatamente, elastica e malleabile alle esperte mani, venali e ciniche, delle agenzie pubblicitarie e dei grandi marchi. Ci stupiamo scioccati dall'ennesima incomprensibile tragedia, annunciata al telegiornale e discussa, sviscerata, sminuzzata e ricomposta nelle varie trasmissioni pomeridiane e in prima serata sui canali nazionali, dall'ostentato ed istrionico surrogato d'umanità stampato nelle espressioni di attrici di second'ordine, reinventatesi conduttrici di programmi scandalistici. Abbiamo però smesso di stupirci, che quelle stesse trasmissioni e quelle stesse teatrali espressioni dispiaciute, utilizzano, usurpano ed abusano del dolore delle persone al fine di incassare denaro spasmodicamente, infilando tra una pubblicità e l'altra la disperazione di chi ha perso tutto, perché fa audience, perché suvvia, il mercato dovrà pure andare avanti. La televisione ha catapultato nei nostri salotti, nelle nostre vite, realtà lontane di altri continenti, ma spesso, davanti al nostro cuore, quelle trucide immagini non ci coinvolgono intimamente più di quanto possa fare un film, "sono solo immagini, sono lontane, a me non succederà mai". La tecnica si è evoluta ad una velocità esponenziale, ma così non è stato per la coscienza dell'uomo, che non è ancora in grado di saper gestire queste sempre nuove potenzialità e far fronte alle responsabilità che esse comportano.
Lo scopo profondo della tecnologia è l'agevolare la vita di tutti giorni, alleggerirne il carico, migliorarne la qualità, ma il mezzo è diventato fine, e quando ciò accade le implicazioni non possono che essere negative. I valori su cui la civiltà umana si è evoluta, come la famiglia o il clan, il sudore della fronte ed il sacrificio atto al miglioramento delle condizioni d'esistenza, una fede religiosa od una certa identità civile, hanno perso in buona parte qualsiasi connotazione fondante nella formazione dei giovani, o meglio, in loro non attecchiscono più. Il problema, il fenomeno nichilismo, è complesso ed intricato, ha origine nelle radici stesse della nostra attuale idea del mondo e della vita. Una forma d'inquietudine non meglio identificata si aggira negli animi e davanti alla scrivania dello psicoterapeuta non si riconosce in alcuna diagnosi, e quindi gli ansiolitici e gli antidepressivi prodotti e prescritti in quantità da epidemia non possono che alleviare le conseguenze emotive del problema, ma la causa, l'origine, rimane illesa ed indisturbata. Prendendo atto di ciò, e che questo disagio non è del singolo individuo ma è distribuito più o meno equamente in tutta la società, si arriva alla conclusione che non sono tanto la psichiatria o la psicologia le discipline che dovrebbero averne competenza, ma semmai la filosofia. Nella filosofia di vita comunemente adottata dovremo cercare la causa del problema, e tutti gli psicofarmaci di questo mondo, essendo nulla più che palliativi, non fanno che ostacolare l'individuazione e la soluzione del fattore scatenante.
Nietzsche proclama metaforicamente la morte di Dio e del suo influsso sugli uomini, e ciò che è peggio, ciò che vediamo oggigiorno applicato alla perfezione, è che "Se Dio non esiste, tutto è permesso" citando Dostoevskij. Dio è morto, o perlomeno la concezione che l'uomo aveva di Dio, non tanto il decesso di una divinità suprema, quanto la morte di qualcosa dentro all'uomo, e questa assenza lascia un più o meno consapevole vuoto nell'animo delle persone, dei più giovani innanzitutto. Gli adulti, i "detentori della verità", non sono stati ancora in grado di spiegare e trasmettere ai ragazzi il loro valore per la vita, per il lavoro, il sacrificio a lungo termine, o per un disinteressato altruismo. Le parole e le prediche profuse, cariche di immagini evocative ma povere di significato per chi le deve ascoltare, quasi sempre sono andate nella direzione opposta a quella delle azioni dei predicatori come a quella della società. Fin dall'asilo insegnamo ai bambini la condivisione e l'altruismo, ma poi gli facciamo scoprire a loro spese che la nostra società è basata sulla competizione e l'arrivismo, e ci troviamo impreparati e a disagio al momento in cui dobbiamo spiegargli perché quei signori, che dormono su degli scatoloni di cartone, non hanno una casa, cibo o vestiti puliti, e quando, ignorando la loro mano tesa in cerca di qualche spicciolo ed il loro sguardo affamato di essere riconosciuti come esseri umani, passiamo avanti, e ai bambini dagli occhi vispi, curiosi ed interrogativi gli diremo: "te lo spiegherò quando sei grande". Viviamo l'epoca dell'immagine, del potere esteriore, dell'ostentamento dei simboli di un determinato stato sociale e del consumismo frenetico e cieco, a discapito di un pianeta che non può sostenere i nostri capricci e dei nostri nipoti e pronipoti che dovranno fare i conti con la nostra spazzatura. Sei ciò che consumi, sei ciò che possiedi; Heidegger ci ricorda che questo è il tempo in cui l'essere viene dimenticato nella rappresentazione dell'ente, "Dell'essere non ne è più nulla". Non mi ritengo comunista, non ho la soluzione alternativa all'attuale stato delle cose, ma ciò di cui sono convinto è di essere avverso a questo capitalismo imperante. Oltre alla morte di Dio, che a mio avviso implica più un nichilismo etico, sono certo che l'attuale sistema economico consumista sia la causa principale del fenomeno propriamente detto "nichilismo esistenziale". Viviamo in una condizione che azzarderei a paragonare a quella della dipendenza da sostanze stupefacenti, ci si rende conto che sono distruttive, che rendono peggiori e distruggono moralità, affetti o valori di sorta, oltre che la propria salute psico-fisica, ma si persevera recidivi ed incuranti in una situazione prossima al collasso.
Questo delicato momento storico può però aprire la strada ad una nuova consapevolezza, bisogna perderli i valori per poi poterne trovare di più alti. Ci siamo sempre mossi secondo le linee guida indicateci da una religione o da un'ideologia, ma oggi, noi gregge senza pastore, abbiamo la necessità di trovare all'interno di noi stessi, oltre che il senso della vita per il quale patire il sacrificio, anche un nuovo incondizionato e disinteressato senso etico. Non siamo più nella condizione di poter accettare una verità predigerita o preconfezionata, l'umanità è chiamata ad uscire dall'infanzia, e lo stimolo alla vita e alla dignità di essa non può venire dall'esterno. Questa è una grande occasione, bisogna abbattere per poter poi costruire. La morte di Dio ha dato la genesi al nichilismo, ma per sopprimere quest'ultimo, a mio avviso, dobbiamo trovare la divinità che è in noi stessi e negli sguardi del prossimo come in tutto ciò che è manifesto, senza antropomorfizzare il Trascendente in un essere supremo dalle fattezze etniche diverse a seconda della latitudine geografica o dell'identità culturale, ma prender coscienza dell'Unità che non può essere ridotta nei parametri di pregi e difetti concernenti la limitata personalità umana. Dobbiamo cogliere l'essenza, impersonale, totale, viva ed immanente . Non è la religione il terreno adatto a tali speculazioni, ma la ricerca del sapere, l'amore per esso, ma non certo un sapere freddo e mentale, quanto una forma di saggezza intima, che viene da dentro ma che nella sua coerenza è in grado di appagare il pensiero logico. Finché questa trasmutazione non sarà avvenuta, nessun'istituzione o ideologia potrà fornirci di un senso profondo, che è a prescindere della funzionalità del dato momento storico. Mi auspico che questo avvenga il prima possibile, quindi cogliamo quest'opportunità sforzandoci di vedere il nichilismo, si come premessa ad un uomo nuovo, ma spogliato di tutta quella presunzione di onnipotenza tanto cara a Nietzsche. Finisco col citare un suo frammento postumo: "In realtà ogni grande crescita comporta un enorme sbriciolamento e deperimento: il dolore, i sintomi di declino fanno parte di epoche di enorme avanzamento; ogni fruttuoso e potente movimento dell'umanità ha creato contemporaneamente anche un movimento nichilistico. In determinate circostanze sarebbe segno di crescita incisiva ed essenzialissima, di trapasso a nuove condizioni di esistenza, il fatto che venisse al mondo la forma estrema di pessimismo, il vero e proprio nichilismo".

(Appello d'esame parziale di filosofia morale)
                                                           
Bryan




venerdì 15 agosto 2014

IL RITO. IL RICORDO. UNA POESIA.





Nell'epoca del frenetico arrivismo, dell'ansia cronica, della produzione compulsiva e del subdolo furto del dono più bello che è stato dato all'Uomo, la vita e le sue età, sei giunta tu nella mia storia.
Nell'ossessiva corsa che consuma i nostri giorni, dove il mezzo è ormai il fine, nell'era del fast food e della valutazione in borsa del nostro tempo, che ipoteca la nostra vita a favore dei soliti noti, tu mi hai dato un motivo in più per tenere fuori il mondo, con le sue scadenze e le sue sottili imposizioni, dall'area della coltre di fumo che dal tuo camino sfuma, tendendo a qualcosa di più alto.
Rincuori i miei momenti, ritualizzi e rendi sacro ciò che altrimenti parrebbe banalità, rammenti un passato che non può essere anagraficamente parte dei miei ricordi, ma mi appartiene.
Ne è impregnato il mio sangue e la mia fantasia, con le immagini di un nonno mai conosciuto, ma idealizzato ad una stella grazie alla tenerezza di una madre.
Mi ricordi una saggezza contadina ma aristocratica nell'anima, forse ormai perduta, forse a me inaccessibile.
Una saggezza che odora di terra e di tabacco, di valori che un valore ahimè l'hanno perduto, ma mi costituiscono.
In un mondo di smartphone e di usa-e-getta, tu mi ancori e mi radichi, mi ricordi da dove vengo e mi rammenti ciò a cui aspiro. E ti ringrazio.
E se ogni opportunismo mi ritenesse ormai inopportuno, e l'amore o il sangue avranno preso un'altra strada, tu sarai lì, o almeno spero, a riportar tepore nel mio cuore.
Un fiammifero, un pigino, un umile trinciato, basteranno a te e a me a riportare nel presente il profumo dei momenti migliori.